C’è un limite sottile, ma chiarissimo, tra la semplicità e l’improvvisazione. E quel limite, quest’anno, sembra essere stato abbondantemente superato. Affidare la direzione artistica del Capodanno di un capoluogo di provincia come Imperia a un bar è la fotografia di un vuoto di idee, dicotomica dalla narrazione dell'"Imperia imperiale".
Il Capodanno non è solo una notte di musica e brindisi. È un biglietto da visita, è il momento in cui una città racconta sé stessa, le proprie capacità. È l’occasione per unire generazioni, linguaggi, sensibilità diverse. Quando invece tutto viene ridotto a una gestione di fortuna, delegata a chi fa tutt’altro di mestiere, il messaggio che passa è semplice e amaro: non sappiamo cosa vogliamo essere.
Non è una questione personale, né un attacco a chi gestisce un locale e svolge il proprio lavoro con dignità. Il problema è politico e culturale. Dov’è la visione? Dov’è il progetto? Dov’è il confronto con operatori culturali, associazioni, artisti del territorio, professionisti del settore? Possibile che a Imperia non esista un’alternativa al “facciamo qualcosa, tanto per fare, senza studiare”?
La sensazione è che il Capodanno sia stato pensato come un fastidio da archiviare in fretta, non come un’opportunità. E così si rinuncia in partenza a creare qualcosa che resti, che lasci un segno, che faccia dire ai cittadini: “Questa è Imperia". Una Amministrazione che si affida a un bar per il suo momento simbolicamente più importante dell’anno è una città che smette di credere nel valore della cultura come investimento, e la considera solo un costo da ridurre. Ma senza idee non si risparmia: si impoverisce. Si abbassa l’asticella, si normalizza la mediocrità, si spegne lentamente l’orgoglio di appartenere a un luogo capace di osare.
Capodanno passa in fretta, è vero. Ma le scelte restano. E restano soprattutto le domande: chi decide? Con quale visione? E, soprattutto, perché in un capoluogo di provincia le idee sembrano essere l’unica cosa davvero assente ?













