Un tempo si giocava nei caruggi e nelle piazze, tra le case di pietra con la palla che rimbalzava sui muri delle osterie, tra le voci dei vecchi e le urla dei bambini. Era la pantalera: più che uno sport, un’eredità viva, un gesto antico che profuma di terra, sudore e orgoglio. Ieri sera, martedì 2 settembre, allo sferisterio 'De Amicis' che pur essendo uno dei piuù moderni del panorama pallonistico, sa di entroterra e di memoria contadina, la PanTavole Alta Val Prino ha compiuto una delle sue imprese più belle: ha battuto i campioni liguri in carica della San Leonardo Imperia con un perentorio 9 giochi a 2.
A prevalere è stato lo spirito di una squadra che gioca con l’anima del paese, quella che ancora oggi considera la pantalera una cosa seria, sacra, da tramandare. La pantalera è una variante del balùn le cui origini si perdono tra i tetti, le panchine, le finestre spalancate delle case affacciate sulla 'ciassa': qui la palla la si colpisce dopo che ha toccato la 'pantalera', la copertura di legno inclinata che rende ogni rimbalzo un mistero, ogni colpo un’intuizione.
Ed è proprio con quella sapienza antica, affinata da generazioni nei vicoli di Tavole in alta val Prino, che la PanTavole ha dominato il match garantendosi l’accesso alle semifinali, dove la sfida sarà in andata e ritorno, ai classici 11 giochi. E dove il destino ha voluto riaccendere una delle rivalità più leggendarie della storia di questa disciplina: quella con la Pantalera Pietrabruna, un nome che evoca battaglie d’altri tempi, incontri epici quando ancora il grande Franco 'Francù' Balestra, monumento della del pallone di queste parti, sfidava i valenti giocatori dell’entroterra di San Lorenzo al Mare.
È la storia che torna, che si ripete con nuove mani ma con lo stesso spirito. Perché nei nostri borghi il balùn non è mai stato solo un gioco: è un simbolo di appartenenza, un rituale collettivo. Le date ufficiali delle semifinali verranno comunicate nei prossimi giorni, ma già si respira attesa nei carruggi, nei bar, ovunque sia rimasta viva la passione per questo sport che non ha bisogno di luci né di sponsor per brillare. Ha solo bisogno di chi, con un pugno e una palla, sa ancora raccontare la storia di un popolo, quello del Ponente.














