È necessaria una nuova cultura dell’olio extravergine di oliva. L’affermazione di Domenico Pautasso, direttore di Coldiretti Imperia, sembra - ma assolutamente non è - viziata da 'parametri' intellettualistici mentre è il più concreto ed efficace strumento per vincere le sfide commerciali che quello da definire come “oro verde” si trova di fronte.
“L’extravergine ponentino – precisa Pautasso – ha bisogno proprio di cambiare la propria immagine con i clienti: non è e non deve essere recepito come un condimento ma deve avere la qualità di alimento”. Ma la globalizzazione del mercato ha causato danni e guasti di vario genere e non solo commerciali. “Purtroppo, proprio per mancanza di cultura alimentare – sottolinea con forza – quel mercato ha prodotto l’omologazione del palato: vengono accettati come extravergine di taggiasca anche olii dal gusto 'neutrale' mentre l’olio nostrano ha un certo gusto piccante soprattutto quando è appena franto”.
Peccato che quella brutta copia di taggiasca venga offerto a prezzi medi 8/9 euro al litro mentre quello autentico, per compensare i costi di produzione, a non meno del doppio. Ma proprio questa differenza di prezzi e qualità ha origini reali. “Assolutamente necessario – prosegue Domenico Pautasso - istituire la reciprocità a livello europeo e modificare i codici doganali; un olio di bassa qualità importato da un paese estero a prezzi bassi diventa prodotto in Italia facendo concorrenza sleale ai nostri operatori del settore”.
Una situazione che ha già indotto anche David Granieri, presidente Unaprol e vicepresidente nazionale Coldiretti a proporre e supportare il Registro Telematico Unico a livello europeo per garantire la tracciabilità degli oli d’oliva vergini. “Si tratta di un sistema certamente utile ma non sufficiente – commenta ancora Pautasso – C’è la necessità di tracciare i flussi considerato che la produzione italiana di olio è di circa 300 mila tonnellate ma sul mercato ne transitano 400 mila: sono numeri che disegnano qualcosa di distorto”.
Insomma, il problema di oli spacciati come vergini italiani non è solo qualitativo ma riguarda anche la mole della produzione nazionale. Con la campagna dell’ultima stagione ormai conclusa, infatti, per la prima volta l’Italia è scesa al quinto posto tra i principali produttori mondiali preceduta da Spagna, Turchia, Tunisia e Grecia. “A questo punto – conclude il direttore Coldiretti Imperia – esiste assolutamente la necessità di cambiare l’approccio culturale dell’olio, come ho già detto, insieme ad una crescita imprenditoriale e alla formazione degli addetti del settore e una significativa informazione”.