"Sì, ero nelle Torri Gemelle quando sono arrivati i due aerei...sono salvo per miracolo". Queste le primissime parole pronunciate da Pietro Riva, ll'epoca 55 anni, imperiese di Caramagna, emigrato da anni per lavoro negli Usa. L'uomo è uno tra i sopravvissuti dall'esplosione delle due torri, oggetto del devastante attentato dell'11 settembre 2001 a New York. Riva, manager di fama, al momento del tragico impatto (il bilancio finale fu d 2.996 morti, 6.400 feriti e 24 dispersi), si trovava al 66° piano dell'edificio, lì dove dirigeva un ristorante di lusso. A Caramagna viveva ancora l'anziana mamma, Caterina Ravotto, ottantenne. Appena scampato all'attentato, grazie alla fuga provvidenziale lungo scale in fiamme e stradine limitrofe, Pietro ha chiamato casa per rassicurare la mamma. In lacrime, ancora sotto choc, le ha detto che ce l'aveva fatta a uscire da quell'inferno di fuoco, fumo e sangue. Pietro, che è stato anche steward all'Alitalia e poi dirigente della compagnia di navigazione Home lines, ha telefonato da casa sua, nel New Jersey, dove abita a un'ora dal luogo della tragedia insieme alla moglie Bernardette Tscheider.
Riva ha due figli, uno impiegato all'ambasciata Usa di Tunisi, l'altro studente in Economia a Washington. "Mi sono salvato grazie al fatto che in quel momento mi trovavo sulla seconda torre, quella che è stata colpita venti minuti dopo - racconta - devo la vita a un avvocato, Mike Stone, che mi ha costretto a scendere di corsa: gli altoparlanti della sicurezza invitavano tutti a rimanere al loro posto, io volevo farlo ma lui mi ha costretto ad andarmene, spingendomi e urlandomi. Non so poi neppure che fine abbia fatto".
A Caramagna, oltre alla mamma (il papà, ex barbiere della frazione, è morto da alcuni anni), fremevano per la sua sorte anche le sue due cugine, Angela, dipendente di una ditta di spedizioni a Imperia, e Marilena, insegnante, nonché la moglie del fratello di Pietro, morto da qualche tempo per un infarto.
"Quando Piero (così lo chiamano tutti a Caramagna, ndr) - confermano - ha telefonato a casa abbiamo tirato tutti un sospiro di sollievo. Dalle immagini viste in tv, lo credevamo spacciato: chi poteva sopravvivere a una tragedia del genere?". Invece Riva ce l'ha fatta perché, quando il primo aereo ha colpito la Torre 1, tutti sono scappati ma lui ha deciso di restare per spegnere computer e altre apparecchiature elettriche. Poi è stato convinto a scendere dall'avvocato Stone sino al 44° piano. "Quando siamo arrivati a questa piattaforma dagli altoparlanti la Sicurezza ha invitato tutti a risalire ai piani alti, dicevano che non c'era pericolo. Io volevo seguire l'invito ma il mio amico me lo ha impedito. Eppoi gli ascensori non funzionavano perché era saltata l'energia elettrica. Devo la salvezza anche a questo. Un secondo dopo c'è stata l'esplosione, fortissima: il secondo aereo aveva centrato la nostra torre. Nel piano 44 non c'erano finestre e quindi tutto si è fatto buio, le pareti tremavano...". "A questo punto - prosegue il suo drammatico racconto - mi sono buttato lungo le scale di sicurezza e ho fatto i 44 piani a piedi, quando sono uscito ho corso per quattro blocchi. A un certo punto, senza forze, mi sono girato e ho visto la gente buttarsi dalle finestre, in mezzo al fumo". Negli anni successivi, maturata la pensione, Pietro si è poi trasferito nel North Carolina, non disdegnando di ritornare qualche volta nella sua Caramagna.
Un'altra imperiese è scampata alla tragedia del secolo scorso: si chiama Laura Arimondo (all'epoca aveva 29 anni, in seguito consigliera comunale nel suo paese ndr), di San Bartolomeo al Mare, lavorava in uno studio di commercialisti nel cuore di Manhattan. "Ero in ufficio: dall'ala sud mi ha chiamato un collega gridandomi 'corri a vedere' - racconta da New York- una delle torri stava bruciando. Abbiamo visto il secondo aereo, una sagoma scura, che si è schiantata sulla seconda torre. Uno spettacolo terrificante. La gente per strada urlava e piangeva. Nel dramma si sono intrecciate storie da far accapponare la pelle: un mio collega, in auto, s'è salvato per miracolo. Sulla macchina sono piovuti detriti, metallo e persino corpi smembrati". "Il mio primo pensiero è stato quello di telefonare ai miei genitori che vivono a San Bartolomeo (papà Fabio ha uno studio di commercialista a Oneglia, ndr) - prosegue - ma era impossibile prendere la linea. Fortunatamente funzionavano le mail e così ho inviato un messaggio rassicurante".















