Server in tilt. Ma questa volta gli hacker non c’entrano. La gran mole di materiale raccolto dai magistrati impegnati nell'inchiesta che a maggio aveva portato all’arresto di Giovanni Toti ha messo a dura prova i sistemi informatici che hanno subito i primi segni di cedimento.
Una situazione che sta rendendo difficile il lavoro delle difese, che si trovano di fronte a una mole di registrazioni audio e video impossibile da esaminare nei 15 giorni previsti dalla legge.
Tanto che già si parla di una possibile proroga dei termini. È una corsa contro il tempo "al limite delle garanzie di difesa", come spiegano i legali degli indagati.
L’ex presidente è stato intercettato dall'agosto del 2021 fino alla richiesta degli arresti del dicembre 2023, due anni e 4 mesi in ascolto di ogni chiamata in entrata e in uscita con le microspie piazzate nell'ufficio della Regione accese ininterrottamente giorno e notte.
E poi filmati di ogni incontro e dialogo di Toti. Ore e ore di audio e video, di cui solo una minima parte è finita agli atti dell'indagine in quanto considerata rilevante dall'accusa.
La mole di materiale è stata scremata in fase di indagine dalla polizia giudiziaria, che ha trasmesso ai pm solo le parti di interesse. Ma in vista del processo, che si aprirà a novembre, la Procura deve mettere a disposizione dei legali anche tutto ciò che non è agli atti perché considerato non rilevante e dunque archiviato nei server segreti.