In passato, gli Stati Uniti non divulgavano il “NSS - National Security Strategy”, perché lo consideravano come un documento classificato, riservato quindi solo ai principali Organi di sicurezza dello Stato. Ora invece, Washington ha letteralmente cambiato approccio, per cui ritiene più conveniente che il mondo conosca quali sono le idee, i concetti, i criteri e, soprattutto, gli intenti che la Superpotenza egemonica nel mondo ritiene necessario adottare, nella gestione della propria sicurezza e, di riflesso, di quella mondiale.
Pertanto, è senza dubbio un bene che, almeno di massima, l'NSS sia conosciuto dai più, visto che, in generale, il futuro un po' di tutti passa proprio da quello che viene scritto li dentro. Si tratta di uno dei principali documenti che, periodicamente e indipendentemente dal suo colore, l'Amministrazione americana in carica redige, indicando le linee generali che la Nazione deve seguire per garantire la propria sicurezza.
La versione 2025 del NSS è stata resa nota lo scorso 4 dicembre dalla Casa Bianca e, molto probabilmente, passerà alla storia come una di quelle che maggiormente potrà influire sulle sorti del mondo, ma in particolar modo dell'Europa, dell'Unione Europea e, di conseguenza, anche di quelle nazionali. Infatti, anche se non ha ancora avuto il suo battesimo ufficiale, con l'approvazione parlamentare e la tradizionale cerimonia di firma presidenziale, tuttavia, in perfetto stile trumpiano, è già stata in grado di terremotare tutto l'ambiente internazionale, per la sua visione rivoluzionaria del mondo, espressa senza mezzi termini e con concetti diretti ed inequivocabili. Vale la pena scorrerne i punti principali.
La premessa del documento è una sorta di scontata autocelebrazione del Tycoon, in perfetto stile “come me nessuno ed il prossimo Nobel per la pace deve avere già un nome”, concetti riassunti dalle frasi testuali “nessuna precedente amministrazione è riuscita a conseguire un cambiamento di rotta di simile portata in un lasso così ristretto di tempo” e “nell’arco di otto mesi, abbiamo posto fine a otto sanguinosi conflitti” e segue l'elenco dei successi della Casa Bianca. Asserzioni sicure e convinte che si commentano da sole.
Si passa poi ad una valutazione del recente passato degli USA in relazione al mondo, anche in questo caso senza l'esigenza di particolari spiegazioni, a meno di evidenziare un duro atto di accusa verso le Amministrazioni precedenti, ree di aver “sovrastimato la disponibilità degli Stati Uniti ad accollarsi in pianta stabile oneri globali di cui la popolazione non intravedeva alcun collegamento con l’interesse nazionale”. In pratica, Trump rinnega completamente il ruolo americano di gendarme del mondo, che ha determinato la creazione di giganteschi e costosissimi apparati militare, diplomatico e di intelligence, permettendo “ad alleati e partner di scaricare il costo della loro difesa sulla nostra popolazione, e talvolta di trascinarci in conflitti e controversie centrali per i loro interessi ma periferici o irrilevanti per i nostri.” Con questo però Trump non intende sconfessare il teorema di conseguire “la pace attraverso la forza”, perché comunque conferma che “la potenza militare rappresenta il miglior deterrente” che, tuttavia, deve essere messa al servizio di un “interventismo temperato”, in cui gli interessi strettamente nazionali, interni ed esterni e di qualsiasi natura, devono essere prioritari rispetto a qualsiasi altra esigenza internazionale.
E tra le priorità americane, secondo la Presidenza, ci sono “le buone relazioni e relazioni commerciali con le Nazioni del mondo, senza imporre loro cambiamenti democratici o sociali che si discostino dalle loro tradizioni e storie”. Finisce quindi la pretesa americana di giocare il ruolo di “esportatore della democrazia”, che in questi decenni ha seminato qualche luce, ma anche tante ombre in molte parti del mondo.
Il pensiero trumpiano si rivolge anche verso gli alleati, ai quali viene detto che le aspettative di Washington sono che essi “spendano una quota decisamente superiore del loro PIL per la propria Difesa, in modo da iniziare a compensare gli enormi squilibri accumulati in decenni di spesa ben superiore da parte degli Stati Uniti”. Un concetto che Trump ha più volte espresso, sin dai primi momenti del suo mandato presidenziale, riferendosi soprattutto alla NATO e ai Paesi Membri europei, già piegatisi nei mesi scorsi a questo diktat USA e attualmente avviati verso il conseguimento di quel famigerato 5% del PIL per le spese militari e per la sicurezza (a parte la Spagna). In poche parole, l'Europa (ma non solo perché vale anche per il Giappone) deve assumersi “la responsabilità primaria delle proprie Regioni”.
Di pari passo con questi aspetti, marciano anche quelli commerciali, perché “un esercito forte e capace non può esistere senza una base industriale altrettanto forte e capace”. Pertanto, “gli Stati Uniti daranno priorità alla riduzione dei deficit commerciali, all'eliminazione delle barriere delle esportazioni USA, alla fine del dumping” che, secondo Trump, “danneggiano industrie e lavoratori USA”, che dovranno beneficiare anche della completa autonomia nazionale nei settori dei materiali critici. Tuttavia, probabilmente, il passaggio più pregnante sta nel concetto che Washington applicherà a tutto campo l”uso strategico dei dazi”, pratica che sta già seguendo ormai da mesi, ma che ora ha una sua ufficializzazione dottrinale nell'NSS, per cui non è più un approccio estemporaneo ed umorale del Presidente, ma costituisce una linea operativa, che avrà prossimamente il placet del Congresso.
E sulla base di tutto questo, il documento traccia il piano geopolitico, a cui gli Stati Uniti allineeranno la loro presenza ed azione nel mondo, che costituisce un vero punto di svolta nel ruolo di Washington, che si orienterà alla tutela dei propri interessi prioritariamente nell'emisfero occidentale, anteponendoli a qualsiasi altro obiettivo strategico, compresi quelli connessi con la disputa con la Cina. Quindi, una sorta di padre-padrone dell'Occidente che “negherà ai concorrenti non emisferici la possibilità di posizionare forze o altre capacità offensive “o di controllare risorse strategicamente vitali nel nostro emisfero”. Russi e Cinesi sono avvisati, in relazione alla loro presenza nel Sud America.
Relazionandosi solo all'emisfero ovest, potrebbe sembrare un'abdicazione verso l'influenza nel resto del mondo, tuttavia la visione esplicitata nel documento non abbandona l'altra parte del pianeta, ma ridisegna la presenza americana e soprattutto il suo l'approccio, prevedendo un “reclutamento di leader regionali che possano contribuire a creare una stabilità tollerabile nella regione […]. Premieremo e incoraggeremo i governi, i partiti politici e i movimenti della regione ampiamente allineati con i nostri principi e la nostra strategia”. E questo potrebbe anche valere per l'Europa, a cui però vengono ovviamente dedicate alcune pagine, in cui si afferma che la Casa Bianca dovrebbe cercare di “aiutarla a correggere la sua attuale traiettoria, così da ripristinare la stabilità strategica con la Russia e porre il Vecchio Continente nelle condizioni di stare in piedi da solo e operare come gruppo di nazioni sovrane allineate, compresa l’assunzione delle responsabilità connesse alla propria difesa». Ma questa autonomia difensiva dell'Europa passa attraverso la soluzione del conflitto russo-ucraino e, ancor di più per le future relazioni con Mosca. E per questo, la ricetta di Trump è perlomeno sorprendente, perché é in assoluta controtendenza con quanto fatto dai suoi predecessori, a partire da Obama, che hanno perseguito, in ogni modo, l'allontanamento tra le due parti. Sulla guerra, il pensiero trumpiano è ormai noto anche alle pietre, ma l'NSS lo chiarisce ancora meglio “È interesse centrale degli Stati Uniti quello di negoziare una rapida conclusione delle ostilità in Ucraina, così da stabilizzare le economie europee, prevenire involontarie escalation o allargamenti del conflitto e […] assicurare la ricostruzione dell’Ucraina a guerra finita garantendone la sopravvivenza come Stato autosufficiente […]. L’amministrazione Trump è in disaccordo con i governanti europei che nutrono aspettative irrealistiche sulla guerra”.
E per riguarda i rapporti con Mosca “le relazioni tra Europa e Russia sono ora profondamente deteriorate, e molti europei considerano la Russia un rischio esistenziale. Riequilibrare le relazioni europee con la Russia richiederà un investimento diplomatico statunitense significativo, sia per ristabilire una condizione di stabilità strategica sulla massa territoriale eurasiatica che per mitigare il rischio di conflitto tra la Russia e gli Stati europei”. Sembrano ricette che trovano nel crudo e cinico buon senso imprenditoriale il loro ingrediente fondamentale, che probabilmente poco si coniuga con le raffinate sensibilità di principio delle maggiori Cancellerie europee e delle più alte cariche della UE, che continuano a demonizzare l'inaffidabile e minaccioso Putin ed inseguire la pace giusta, se non addirittura la vittoria di Kiev.
Con il National Security Strategy, che la Russia non debba essere considerata una minaccia reale per l'Europa Trump lo ha messo anche nero su bianco, indicando una via ben precisa da percorrere per arrivare alla pace. Ora tocca agli Europei valutare se considerare veritiera tale posizione, magari ricordando che il Tycoon, a parte qualche dissidente ribelle della UE (Orban), è l'unico leader occidentale che Putin lo ha incontrato e con cui ha un contatto pressoché continuo, oppure proseguire sulla strada del confronto duro e intransigente, che potrebbe condurre dritta dritta allo scontro, a cui però gli Stati Uniti, molto probabilmente, non parteciperebbero. Questo Trump non lo ha detto, ma forse non perché non lo pensi, ma presumibilmente perché manco lo ha preso in considerazione. E senza Americani il gioco si farebbe veramente durissimo.






