Si dice che gli imperiesi siano notoriamente indolenti e pavidi, indecisi e attendisti, ma se si rivolge uno sguardo al passato, ad un passato in gran parte glorioso e irripetibile, tale odierna dimensione un po' dolente non esisteva sia che la città fosse già stata ricomposta nella sua attuale identità unitaria e sia che ancora fosse divisa nei suoi segmenti storici prima dell'unificazione del 1923.
E tutto ciò perché l'emozione più forte degli imperiesi di ogni epoca e stato (ma così è in genere, a dire il vero, anche per il resto dell'umanità) è la paura dell'ignoto: solo che nel passato il futuro era una religione o una dimensione spirituale in cui si credeva di più e tramite essa si osava sfidare il domani.
All'Imperia uscita dalle rovine della Seconda Guerra Mondiale la speranza coraggiosa nel domani, infatti, parve subito l'emblema di un nuovo umanesimo, tutto da ricostruire. Le divisioni politiche e le diverse visioni ideologiche e di prospettive economiche non ostacolavano il desiderio solidale di guardare avanti.
La attuale congiuntura e le sue insidie non aiutano né il comune cittadino imperiese e nemmeno, con le specifiche contraddizioni interne, il conflitto tra le vecchie e nuove élites, come pensavano Mosca o Vilfredo Pareto, con i loro leoni e le loro volpi, conservatori rispetto a innovatori.
Il mix di progressi e di regressi della sua storia dovrebbe far riflettere la città su quali possano essere i correttivi della pubblica opinione e delle stesse istituzioni per evitare che la gente rimanga senza voce e che insegni ad essa a vedere in modo nuovo il mondo e non essere vittima di abusati stereotipi.














