Il Punto - 30 luglio 2025, 07:06

IL PUNTO. Porto commerciale addio: davvero la borghesia imperiese ha smesso di pensare?

La cancellazione dei traffici dalla banchina di Oneglia non è un dettaglio tecnico, ma una scelta politica che smantella l’identità produttiva della città. Mentre chi dovrebbe difenderla resta in silenzio

la banchina turistica desolatamente vuota in piena stagione

È davvero possibile che la borghesia imprenditoriale imperiese sia così miope? O forse sta semplicemente seguendo, in modo più o meno consapevole, le note di un pifferaio magico che, a ben vedere, di imperiese ha ben poco — per storia familiare, per cultura, per interessi? La domanda si impone con forza dopo la decisione del consiglio comunale di ieri sera di che, di fatto, ha cancellato ogni prospettiva di traffici commerciali dalla banchina di Oneglia.

Un atto grave, più nel significato che nella forma. Perché non si tratta semplicemente di una variazione tecnica o di un aggiustamento burocratico, ma della rinuncia esplicita a un’idea di città: una città che lavora, che produce, che commercia. Una città viva, e non solo 'vetrina'. Certo, non è mai mancato chi ha dipinto il porto commerciale come un relitto del passato, un ostacolo al turismo, un fastidio estetico. Ma davvero crediamo che una città possa sopravvivere solo di ombrelloni e ristoranti vista mare, magari di lusso, sulle gru? Davvero pensiamo che il benessere duraturo si costruisca con le rendite e non con l’impresa?

Francamente, non credo che la borghesia di Imperia sia così cieca. La sua storia è fatta di industria olearia, di armatori, di famiglie che hanno saputo guardare oltre il proprio naso e il proprio tempo. Ma allora perché questo silenzio? Perché non si alza una voce chiara a difesa di un'infrastruttura strategica come il porto commerciale? C’è il sospetto che si stia cedendo il passo a una narrazione seducente, fatta di grandi eventi, di investimenti promessi, di “vocazioni turistiche” sempre più vaghe e sempre meno solide. Un racconto orchestrato da chi ha visioni diverse da quelle di una Imperia produttiva, magari legittime, ma certo non radicate in questa terra né attente ai suoi bisogni profondi.

Il punto è che rinunciare al porto commerciale non è solo una scelta tecnica. È una rinuncia simbolica: al lavoro, all’identità, alla possibilità di essere qualcosa di più di un “bel posto dove passare l’estate”. E questa rinuncia, più che miope, sembra essere un atto di smemoratezza collettiva. La città ha bisogno di memoria e di visione. E ha bisogno che la sua classe dirigente — politica, economica, culturale — ritrovi la voce. Non per nostalgia del passato, ma per costruire un futuro che non sia fatto solo di promesse a breve scadenza e di rendite effimere.

È ora che Imperia scelga se vuole essere un luogo dove si vive — o solo un luogo dove si passa.