Bruxelles, 29 maggio 1985. Quarant’anni sono passati da quella data incisa a fuoco nella memoria del calcio e nella carne viva di chi era lì. La finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, attesa da migliaia di tifosi, si trasformò in un incubo: allo stadio Heysel morirono 39 persone, schiacciate contro un muro dopo l’assalto degli hooligans inglesi. Decine di famiglie italiane tornarono a casa con il lutto. Molti, invece, non tornarono più gli stessi.
Tra i testimoni di quell’inferno c’è Pino Sabbatucci, gloria dell'Imperia calcio degli anni Settanta e Ottanta. Era nel famigerato settore Z, riservato ai tifosi juventini, lo stesso in cui si consumò il dramma. Quarant’anni dopo, la voce si incrina ancora al ricordo. “Se oggi sono vivo, lo devo al mio sangue freddo. Quando ho visto quell’ondata umana arrivarci addosso, ho fatto l’unica cosa che potevo: sono rimasto fermo”.
“Eravamo in dodicimila e ci fecero entrare tutti da una porta larga poco più di un metro,” racconta Sabatucci. “Un miracolo che non ci sia scappato il morto già lì. Appena dentro, ci trovammo faccia a faccia con migliaia di inglesi, già ubriachi fradici. Non c’erano controlli, nessuna separazione vera tra le tifoserie. Ci sistemammo sulle gradinate, che si sbriciolavano al solo camminarci sopra”.
Un’atmosfera tesa, surriscaldata da un’organizzazione scandalosamente inadeguata. “All’improvviso cominciò a piovere di tutto: bottiglie, pietre, pezzi di gradoni. E alcune cose, lo ammetto, venivano anche restituiti. Ma il vero orrore arrivò dopo”. “I tifosi inglesi premevano sempre più verso il nostro settore. Davanti a noi c’era solo una rete da pollaio. Quando cedette, scoppiò il panico. Tutti cercarono di fuggire, ma alle nostre spalle c’era un muro. Rimanemmo schiacciati lì. Alcuni morirono soffocati, altri per le ferite, altri ancora per il crollo”.
“Se quel muro non avesse ceduto prima, i morti sarebbero stati molti di più paradossalmente, così come i tifosi erano imprigionati”. Un amico di Imperia che era con me, il dottor Franco De Paulis si fece male al ginocchio mentre cercava di scappare. Un altro l’abbiamo ritrovato solo un’ora e mezza dopo la fine della partita. Non avevamo neanche voglia di parlare, eravamo sotto shock”.
E la partita? Quella Juventus-Liverpool passata alla storia per la vittoria bianconera e per il rigore di Platini? “La Juve è la mia squadra del cuore, ma quella Coppa l’hanno giocata solo per ordine pubblico. Non la sento mia. Nessuno di noi la sente davvero. È stata una vittoria amara, figlia del sangue e non del gioco”.
Pino Sabatucci, come tanti altri sopravvissuti, non ha mai dimenticato quel giorno. L’Heysel è rimasto una ferita aperta, una pagina nera nella storia dello sport. Ogni 29 maggio non è solo un anniversario, è un momento per fermarsi, ricordare, e riflettere su ciò che accadde quando il calcio smise di essere un gioco, e divenne tragedia.