In Polonia, ma anche in Bielorussia, lo sterminio degli ebrei soprattutto dal 1942 al 1945 è documenta ampiamente. Così come è documentato l'internamento e lo sfruttamento dei militari italiani non aderenti alla RSI e che dopo l'8 settembre 1943 furono catturati dai nazisti e inviati su carri bestiame ferroviari dai Balcani verso Minsk e il fiume Beresina. In quest'ultima zona esisteva un campo di concentramento particolarmente duro e tra quei militari ivi internati c'era mio padre Michele, il protagonista del mio Il Tempo e la Memoria, lì dirottato appunto dall'Albania.
I militari italiani e di altre nazionalità raggruppati dal comando germanico vennero adibiti ai lavori forzati per consolidare le difese contro l'avanzare dell'Armata Rossa. In particolare fu costruita una ferrovia su cui un trenino con motrice trasportava cannoni la contraerea per colpire gli apparecchi russi che attaccavano le difese tedesche. Nel racconto mio padre descrive l'estremo tentativo tedesco, nel febbraio è marzo 1945, di fermare i russi, fino alla distruzione del trenino.
A quel punto si verifica una ritirata dei pochi militari tedeschi rimasti e il fuggi fuggi generale dei prigionieri verso la vicina Polonia, dove l'Armata Rossa andrà dilagando con tutta una serie di atrocità nei confronti della locale popolazione di origine tedesca.
Rinvio al mio eBook Il Tempo e la Memoria per il seguito del racconto. La metamorfosi dell'Armata Rossa da esercito un po' disordinato a efficiente forza di occupazione di stampo zarista, tutt' altro che bolscevico sorprese i prigionieri, caduti ormai in mano russa, e fece loro pensare a quali fossero le reali intenzioni di Mosca a riguardo del Vecchio Continente. Un'impressione che farà propria più tardi Winston Churchill quando parlerà di "cortina di ferro"