Una volta erano i poveri a prendere la via dell’esilio. Oggi sono anche i figli dei benestanti con diploma superiore o laurea. Anzi, sono proprio i giovani più qualificati con alti livelli di istruzione ad abbandonare Imperia.
Il capoluogo ponentino, infatti, in ambito nazionale può vantare la non invidiabile seconda posizione per il numero di emigrati all’estero. E vanno in esilio con un’incidenza del 13,5 per cento ogni mille abitanti per i motivi più logici e scontati. Pesa, insomma, la mancanza di opportunità professionali, l’inesistenza di un lavoro specifico per le loro competenze oppure anche per impieghi possibili anche vicini a casa ma retribuiti molto più generosamente oltre frontiera. “È questo il vero grande problema della nostra provincia – afferma Vittorio Coletti, docente di Letteratura Italiana nell’ateneo genovese in pensione –. I giovani di qualità che non hanno ereditato uno studio professionale o un’azienda commerciale sono costretti a emigrare: è la situazione su cui dovrebbe attivarsi anche l’opposizione consiliare invece di polemizzare su problemi meno importanti”.
Un richiamo che trova autentiche corrispondenze nella realtà sociale del capoluogo. “Sono già rassegnato per il futuro con mio figlio lontano – ammette Luciano Buonomo – Luca ha 22 anni e frequenta la facoltà di Fisica all’Università di Torino: sicuramente non vivrà a Imperia, qui non esistono opportunità per alcune specifiche competenze e i giovani devono esiliare soprattutto se vogliono avere un impegno lavorativo”.
Un esilio obbligato salvo accontentarsi o adattarsi ad un tipo di occupazione assolutamente alieno dalla propria preparazione scolastica che sia un diploma o una laurea. “Ho il diploma del Nautico – spiega Jacopo Cordero, 28 anni – ma ho dovuto decidere che trascorrere nove mesi all’anno a bordo di una nave non rappresentava una normale alternativa di vita: al momento lavoro nell’azienda di famiglia perché a Imperia non ci sono altre opportunità”.
Ma il giovane Cordero non è soddisfatto tanto meno del panorama lavorativo imperiese. “Qui l’ambiente occupazionale – contesta – è al limite dello sfruttamento, la mentalità aziendale è tossica e la classe imprenditoriale vive sul basso costo della manodopera”. Un giudizio oltremodo severo e radicale che, comunque, in qualche modo riflette la situazione occupazionale del territorio ponentino. Eccetto chi ha avuto l’accortezza di scegliere la `giusta´ facoltà universitaria e le indubbie doti di studio. “Mia figlia Maria Cristina – racconta Paola Amoretti – avrebbe voluto iscriversi a Filosofia incontrando l’opposizione familiare e ripiegando su Bioingegneria ma, dopo due anni e alcuni esami, ci ha convinti a permetterle la facoltà che prediligeva: ora è assistente a Filosofia a Genova, comunque lontana da casa”. In questo caso la lontananza è relativa anche se, per ambiti universitari di tipo umanistico ma anche scientifico quali matematica e ingegneria, il tessuto `casalingo´ può offrire impegni soltanto come docenti nelle scuole medie.