Al Direttore - 06 febbraio 2022, 09:12

La descrizione della Liguria in Rutilio Namaziano. Dalle Apuane all'estremo Ponente la viva memoria di un passato da rivisitare

Il racconto di Pierluigi Casalino

Via Iulia Augusta

Via Iulia Augusta

Claudio Rutilio Namaziano fu poeta latino di origine gallica. Nativo probabilmente di Tolosa, figlio di un alto funzionario imperiale, intraprese la carriera amministrativa sino a diventare praefectus urbi nel 414 d.C. Negli anni seguenti, però, dovette lasciare Roma per tornare nella sua terra invasa dai Vandali, non senza prima elevare un inno di  straordinario lirismo alla gloria e alla grandezza di Roma eterna.

Tale viaggio è pervaso più dalla malinconia per l'addio a un mondo felice, centro dell'universo civile e suo personale, che dalla nostalgia del paese di origine. Il viaggio viene compiuto per mare, a causa delle pessime condizioni della Via Aurelia e della Via Iulia Augusta, rese impraticabili dopo il passaggio devastante dei Visigoti; il viaggio intervallato da numerosi scali, viene ripercorso nel De reditu suo, poemetto in distici elegiaci che si interrompe al verso 68 del libro II con l'arrivo a Luni. Recentemente sono stati scoperti degli scarsi frammenti riferiti alla Liguria, una vera Roma d'Occidente, con la prosecuzione della traversata fino ad Albenga. Un momento di grande fascino, che riepiloga un'era e assume un valore epocale. Pregevole per candore espressivo è la raffigurazione del Mar Ligure e della litoranea che l'autore dipinge con tratti graziosi e sapienti, sebbene non privi di un certo artificio. "L'acqua tranquilla ci sorride, mentre i raggi del sole la increspano e l'onda solcata dalla nave mormora con un lieve suono": è il suono della bellezza.

Cominciano ad apparire le cime dell'Appennino, "nella direzione in cui Teti freme respinta da un monte elevato". "Siamo giunti con veloce movimento a candide mura; dà nome al luogo la scintillante sorella del Sole. La pietra con i suoi massi supera i gigli ridenti e sfolgora di una lucentezza dipinta. La terra, ricca di marmi, superba chiama a gareggiare in splendore le nevi immacolate". I versi tratteggiano uno scenario rasserenante e radioso, in cui la prosopopea dell'acqua che sorride e la luminosità del paesaggio stridono con la triste temperie storica, motivo del viaggio. In questo brano l'autore raffigura con maestria i luoghi in cui sorgeva l'antica Luna (evocata attraverso una preziosa perifrasi), lambita dal mare designato con l'antonomasia "Teti", mentre sullo sfondo appaiono le Alpi Apuane ricche di marmi. L'immagine dei gigli e quella della neve accrescono il senso di lucore quasi abbacinante dell'alata descrizione.

Più corposi i versi dedicati a Genova. "Lì, come è uso a Genova viene riposto il frumento, e si ergono contro i venti di Noto forieri di pioggia sicuri granai e vigile presidia i quartieri invernali della Liguria il soldato che porta una scrofa come insegna sul lanoso scudo. Siamo accolti nell'osteria: la generosa padrona serve a tavola, mentre un focolare dalle fiamme flessuose è acceso sotto un gran pentolone. L'ostessa ci offre del vino a prezzo non modico e l'orcio traboccante spande il suo liquido, emanando un gradevole profumo. Genova è rappresentata in modo realistico con le nubi imbrifere portate dai venti del Nord e con l'interno della taverna, tiepida per il fuoco acceso, in cui l'ostessa mesce del vino dal sentore piacevole". Il poeta non rinuncia, pur all'interno di un quadro realistico, all'elegante metafora delle fiamme flessuose. L'ultimo lacerto ligure è dedicato alla descrizione delle mura che cingono Albenga enfaticamente paragonate a quelle di Tebe, di Atene e di Troia. Segue uno poco opportuno panegirico del console Costanzo, cui si deve la costruzione della cinta muraria della città ingauna. Questa è la Liguria tratteggiata dall’autore latino, una Liguria naturalmente molto diversa da quella attuale, come è facile immaginare, più selvaggia, incontaminata ed affascinante. Certamente si apre agli occhi di Rutilio la sagoma seducente della Gallinara che si presenta davanti ad Albenga. Davvero belli i versi di Rutilio Namaziano. Il brano ritrovato su Albenga è proprio conservato nella città ingauna.

Non era dunque costui poeta d'occasione, nonostante il manierismo dovuto all'imitazione dei modelli antichi. Ed era certo preferibile alla stragrande maggioranza dei poeti moderni e contemporanei. Di Rutilio, di solito, viene ricordata la descrizione negativa che egli fece degli asceti cristiani visti sulle coste dell'isola di Capraia e che egli equiparava al rango di animali. Strana malattia dell'anima quella dell'ascetismo cristiano, secondo il poeta, che non ne comprende il messaggio di profonda spiritualità. Malattia fatta, a suo avviso, di assurde esagerazioni, di fanatismi impensabili, di follie innominabili ed il tutto in spregio alle piccole gioie della vita ed alle bellezze della Natura in nome non si saprebbe di quale astratto ideale. Molto più sano invece, nel pensiero dell'autore, il senso del Paganesimo che trasuda dalla poesia che produssero i suoi Vati e qui esemplificata dai bei versi ora riemersi dalle nebbie dell'oblio. Talvolta siamo così assediati dall'orrore, sembra dirci, che ci dimentichiamo che in qualche angolo esiste ancora la bellezza. L'autore definisce gli asceti della Capraia "lucifugi viri". Egli, da intellettuale conservatore, reputava il Cristianesimo e l'imbarbarimento dell'esercito romano mali assoluti per l'Urbe, non cogliendo il senso di una missione così rivoluzionaria, quella cristiana, che consentirà, invece, di conservare, tramite essa, proprio il patrimonio di quel mondo che Rutilio amava. Non a caso un altro intellettuale del suo tempo, il cristiano San Gerolamo, si chiedeva con eguale drammatica angoscia: "se Roma, nostro mondo, finirà cosa faremo?". Ingeneroso anche il suo atteggiamento nei confronti di Stilicone che fu generale valoroso e fedele, ma Rutilio non era privo di qualche pregiudizio.

Sarebbe un bel colpo di fortuna reperire altri  brani del poemetto sulla Liguria e sulla vicina Gallia per vedere come il poeta dipingeva Laigueglia, Ventimiglia, Nizza ed altri municipi e città, come la già rinomata Villa matuziana, oggi Sanremo,  una Sanremo prediletta dai romani, per i quali era la patria del sole. La Liguria che percorre Rutilio verso la Gallia Narbonese, soprattutto quella che collegava Sabazia (già città nativa dell'imperatore Pertinace) a Ventimiglia e a Nicaea (l'odierna Nizza), era considerata dai romani una perla di fulgido splendore. Ma allora il suo litorale fino alla Gallia era chiamata Alpes Apenninae, mentre il nome Liguria era riferito alla Lombardia e alla Teanspadania. I vescovi della Gallia si erano rifugiati ad Albenga e a Genova, sotto l'incalzare delle orde barbariche e la desolazione regnava ovunque. Rutilio, oltre a salutare le mura di Albenga, con Milano capitale fortificata dell'ultimo occidente romano e della Liguria tardoantica, esalta la gioia di vivere perduta. Esistono  autori che manifestano un amore così vivo per la Natura e per le gioie della vita? Si dice che il vino ligure a quei tempi fosse molto aspro e corposo e piacerà davvero molto ai personaggi importanti che nella Storia ebbero modo di assaggiarlo. Circostanza di cui anche gli antichi autori greci e latini fanno memoria. E Rutilio Namaziano fu uno di questi, che sicuramente apprezzò il vino di Dolceacqua e il rosato di Latte, una qualità da recuperare a pieno e che finì sulla tavola dei Papi e degli personaggi storici che passarono nel Ponente ligure.

Pierluigi Casalino 

Redazione

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