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Attualità | 18 ottobre 2020, 08:00

#liguritudine: una visione etico-ambientale per la salvaguardia del dialetto ligure

Questa peculiare parlata è ancora ben presente in paesi dell’entroterra come Ceriana; piccolo borgo della provincia di Imperia, amato da diversi personaggi di rilievo culturale come Lio Rubini, Giulio Natta e Giuseppe Piana

#liguritudine: una visione etico-ambientale per la salvaguardia del dialetto ligure

Il dialetto ligure, nelle sue molteplici varianti, rappresenta una vera ricchezza linguistica e culturale che sta affrontando un periodo di grande rischio per la sua stessa preservazione. Questa peculiare parlata è ancora ben presente in paesi dell’entroterra come Ceriana; piccolo borgo della provincia di Imperia, amato da diversi personaggi di rilievo culturale come Lio Rubini vicepresidente di Repubblica che qui è nato, Giulio Natta premio Nobel per la chimica rimasto sempre legato a questi luoghi dove ha trascorso l’infanzia, fino al pittore Giuseppe Ferdinando Piana di cui si conservano alcuni affreschi nelle case del paese. Esiste un futuro per il dialetto? C’è un modo per mantenere viva la sua essenza?

È nella piazza del paese che incontro Gisella Asquasciati, autrice di diversi libri nei quali vengono raccolte molte storie della vallata, quando l’italiano era una lingua per letterati o furèsti in arrivo dalle grandi città. Il suo è un caso del tutto particolare, in famiglia non le parlano il dialetto, l’esigenza di impararlo la coglie verso i 28 anni, quando inizia a lavorare nella Comunità Montana delle Valli Argentina e Armea. Da quel momento il fascino della parlata locale la investe fino a farla divenire una vera e propria cultrice: “mia madre non era molto contenta che io volessi imparare il dialetto – e aggiunge – quando sentiva che provavo a parlarlo mi riprendeva, tuttavia sono stata colpita da una passione che dura ancora oggi”. Questo grande amore si è anche espresso attraverso l’insegnamento nella Colonia Estiva del paese e nelle scuole, avvicinando così i bambini ai termini e alla fonetica del cerianasco: “la curiosità, il voler capire il significato di alcune espressioni è ciò che mi ha dato la spinta per studiare e indagare sempre più a fondo il dialetto – prosegue – i cerianaschi che lo parlano come se fosse la loro prima lingua, la lingua con cui articolano i loro pensieri, non saranno più che un centinaio”.

Tuttavia, ci tiene a sottolineare il fatto che: “rimane il profondo piacere nel poter chiacchierare con qualcuno che ancora lo parla, non per una questione puramente estetica o di ricerca linguistica; è un semplice piacere del cuore che porta con sé i ricordi, i profumi ed i sapori di una volta riaccendendo la memoria, è una questione affettiva”. Gisella, inoltre, denuncia a sua volta la mancanza di termini dialettali che si riferiscono prettamente all’aspetto più sentimentale dell’animo umano, ad esempio ci spiega che: “dire ad una persona ti voglio bene è la soglia massima di esternazione dei propri sentimenti, infatti non esiste una traduzione propria del «ti amo» italiano”.

Il dialetto ligure trova il suo miglior campo di espressione nella vita pratica delle azioni quotidiane le quali, grazie ad esso, acquistano un’enfasi maggiore. È qui che questa peculiare parlata riesce ad esprimersi al meglio. Ad averla impressionata di più sono proprio i proverbi o modi di dire, pieni di una saggezza secolare risultato di una forte connessione tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda: “per cogliere queste frasi – sottolinea – serve una vera e propria esperienza in prima persona, solo in questo caso si può avere una precisa cognizione del loro significato più profondo”.

La nostra conversazione si sposta verso il futuro, a tal proposito mi chiarisce il suo punto di vista: “oggi nelle famiglie si parla prevalentemente italiano, anche a causa della forte immigrazione subita dalla Liguria e dai suoi piccoli borghi, in modo particolare dalle regioni del Sud Italia o dell’estero, come nel caso della Penisola Balcanica”. Dunque il dialetto è giunto al suo termine? Secondo Gisella sembra non esserci dubbio: “il dialetto ligure, almeno in questa zona sparirà presto, l’ultima generazione che ancora lo parla è quella che va verso i cinquanta, i più giovani restano una eccezione”.

Una soluzione potrebbe essere quella di ripensarlo, riferirsi ad esso in maniera diversa così da poter conservare ciò che ha di odierno. In questo senso la nostra antica parlata nasconde in sé un aspetto decisamente attuale e utile. Pensando alla sua essenza, a ciò che esso stesso esprime con maggiore efficacia, ovvero la vita pratica dei campi e dei mestieri più umili, si scorge un insegnamento fondamentale: un atteggiamento etico e di rispetto attivo nei confronti del proprio territorio e della tradizione. Nonostante i bambini d’oggi non vengano più introdotti al mondo dell’agricoltura, i sempre più frequenti disastri ecologici hanno spostato l’interesse di molti verso orizzonti di quest’ordine. È qui che la mentalità insita nel nostro peculiare dialetto può servirci da stimolo, indicandoci una via alternativa di maggior salvaguardia dell’ambiente da cui abbiamo avuto molto ma che non sempre abbiamo rispettato.


Stefano Martini

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