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Attualità | 27 aprile 2019, 16:44

La zona portuale nel'600 nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

Grazie ai consistenti finanziamenti stanziati dal Comune fu quindi possibile avviare la costruzione di un nuovo molo in muratura, non più soggetto all'erosione delle onde e capace di garantire un attracco sicuro alle numerose imbarcazioni.

La zona portuale nel'600 nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

Dopo un lungo periodo di crisi seguito alla guerra tra Genova e il Ducato di Savoia del 1625, il Comune di Sanremo riprese con nuovo vigore i lavori nell'area portuale, stanziando fin dal 1639-40 la consistente cifra di 26.000 lire per effettuare una grossa riparazione. Tale spesa rappresentò tuttavia soltanto una piccola parte dell'ingente opera di ricostruzione del molo, che venne deliberata pochi anni dopo dal Parlamento e quindi portata a termine nel triennio tra il 1646 e il 1648. Le autorità comunali sanremesi avevano infatti intenzione di realizzare un approdo in grado di resistere all'azione del mare, e, per la prima volta, avviarono una programmazione sia di natura tecnica che finanziaria in grado di poter finalmente esaudire i desideri della comunità.

Per fare in modo che l'impresa riuscisse da un punto di vista tecnico, il Consiglio Comunale si premurò di contattare una delle maggiori imprese costruttrici dell'epoca, mentre, per quanto concerne l'aspetto finanziario, ci si preoccupò soprattutto di raggiungere una relativa autonomia gestionale; non venne nemmeno trascurato il problema delle relazioni con la capitale, di vitale importanza per ottenere le necessarie autorizzazioni e i contributi indispensabili per la realizzazione del progetto. Il 21 febbraio 1646 il Parlamento assunse la prima rilevante decisione deliberando di incaricare un magistrato per fare il nuovo molo e di prendere ad interesse mille pezzi di scudi reali dal cassierie del Comune. Lo stesso giorno il Consiglio Comunale nominò una apposita commissione per il porto, presieduta da Antonio Fabiano e Giovanni Battista Bottino, e composta dai cassieri Paolo Battista Gandolfo e Michele Palmaro e dagli ufficiali Giacomo Carlo, Gio Maria Fabiano, Germano Pesante, Giovanni Battista Borea, Giacomo Martini e Pier Francesco Sapia. Il 28 maggio successivo lo stesso Consiglio incaricò Giovanni Battista Bottino di ottenere il placet e il consenso per il nuovo molo dal Senato della Repubblica, prendendo nello stesso tempo i necessari accordi per la sua costruzione con l'impresario di Vado Ligure Ilario Gnecco. Per sopperire inoltre alle notevoli spese previste per la realizzazione del molo, il Parlamento autorizzò lo stesso Bottino, con delibera dell'11 agosto, a prendere in prestito dal Comune di Genova la somma di 8.000 lire. Il 16 settembre seguente, essendo stata preventivata una spesa complessiva di almeno 70.000 lire annue per la fabbrica del nuovo molo, il Consiglio Comunale decise di imporre una nuova gabella alle imbarcazioni che frequentavano il porto, riservandosi la possibilità di prelevare il denaro mancante alla somma necessaria per i lavori dalle altre entrate dell'amministrazione comunale.

     Grazie ai consistenti finanziamenti stanziati dal Comune fu quindi possibile avviare la costruzione di un nuovo molo in muratura, non più soggetto all'erosione delle onde e capace di garantire un attracco sicuro alle numerose imbarcazioni che ormai approdavano quotidianamente nello scalo sanremese; non ci si limitò peraltro soltanto a ricostruire il molo, ma, per favorire le operazioni di carico e scarico delle merci, venne realizzata una vasta area vicina al porto in grado di assecondare la crescente attività portuale, dove sorsero magazzini e depositi pronti a ricevere tutti i prodotti esportati o importati da commercianti e marinai. I lavori per il nuovo molo proseguirono alacremente fino all'inizio del 1647, quando, per la mancanza di fondi, si rese necessario un ulteriore stanziamento di 4.000 lire per la prosecuzione dell'opera, rallentata anche da impreviste difficoltà di natura tecnica che erano sorte nel frattempo. Ormai però i lavori stavano per essere portati a termine anche se le autorità genovesi, nel timore che il nuovo approdo potesse fare di Sanremo una futura rivale della capitale nei commerci marittimi nella Riviera di Ponente, tentarono di ostacolare il proseguio dei lavori fino a bloccare la costruzione. Il Senato di Genova decise infatti di addurre il pretesto che i lavori eseguiti non erano quelli previsti dal progetto originario del 1646 per congelare i finanziamenti e inviò a Sanremo l'architetto genovese Stefano Scaniglia per verificare la veridicità dell'accusa. Come era prevedibile, l'architetto Scaniglia avvallò la tesi propugnata dal governo genovese, sostenendo nella sua relazione che Sanremo non si poteva permettere un porto più ampio di uno che potesse ospitare al massimo 25-30 barche. Per poter completare i lavori del nuovo molo, che rischiava di subire danni molto gravi se non fosse stato terminato in tempi brevi, il Parlamento sanremese inviò allora una supplica alle autorità genovesi affinché quest'ultime permettessero la conclusione dei lavori. Il Senato della Repubblica rispose alla domanda del Parlamento di Sanremo ordinando una modifica sostanziale al progetto originario, che prevedeva di continuare l'opera per altri 60 palmi, in modo da evitare la distruzione della cima del molo e la dispersione dei 15.000 scudi già spesi per la sua costruzione. In esecuzione di quest'ordinanza, il Parlamento fu però costretto ad introdurre nuove imposte per far fronte alle maggiori uscite del progetto così approvato. 

     Alla fine del 1647 la comunità sanremese aveva così a sua disposizione non più un piccolo approdo in grado di offrire riparo a poche imbarcazioni, ma un vero e proprio porto adeguato alle sue cresciute esigenze marittime e commerciali. Il considerevole aumento della mole del traffico e l'elevato numero di imbarcazioni che approdavano nello scalo sanremese iniziarono però a creare delle difficoltà di manovra nel bacino portuale e lungo i moli, che indussero il Parlamento ad emanare un'apposita delibera che imponeva alle barche di lasciare libera immediatamente la banchina dopo avere caricato e scaricato le mercanzie. Intanto si susseguivano le iniziative per ampliare ulteriormente l'area portuale, come quella assunta il 16 agosto 1648 dal sindaco di Sanremo Lorenzo Anselmo, che presentò al governo genovese un progetto di ampliamento del porto, che prevedeva di allungare il molo per altri 50-60 palmi. Le autorità genovesi diedero quindi il loro assenso all'inizio dei lavori di miglioramento del molo verso la fine dell'estate del 1648, negando peraltro il permesso all'allungamento del molo nei termini richiesti dal sindaco Anselmo. Nel gennaio 1654 il Parlamento assunse la decisione di stipulare un nuovo contratto con l'impresario Gnecco, che fu però vanificato dalla contemporanea richiesta di una forte somma, corrispondente a 10.766 lire, da parte del governo della Repubblica, che intendeva utilizzarla per finanziare la costruzione delle nuove mura della capitale e che, di fatto, tolse dalle casse comunali sanremesi i fondi già stanziati per i nuovi lavori nella zona portuale. Gli amministratori sanremesi però non si scoraggiarono più di tanto e il già il 5 aprile 1656 il Parlamento emise un'altra delibera che prevedeva la costruzione di una calata nel porto, che avrebbe facilitato il carico e lo scarico delle merci. In base al relativo contratto di appalto dei lavori, il Parlamento impose al costruttore di rispettare alcune clausole, quali terminare l'opera entro il settembre 1656, assicurarne la stabilità per almeno tre anni utilizzando del materiale di buona qualità e rispondere di eventuali inadempienze del contratto con tutti i suoi beni e la sua stessa persona.

     Intanto la ripresa delle attività commerciali spinse la comunità sanremese a desiderare un ulteriore ampliamento della calata, come risulta tra l'altro da una lettera inviata al Senato della Repubblica dai Consoli del mare di Sanremo nel 1660, nella quale questi ultimi chiedevano alle superiori autorità genovesi il permesso di allungare di settanta palmi la calata del porto, dove l'insufficienza del fondale non consentiva alle navi di grossa portata di caricare e scaricare le merci sulla banchina. Nel quinquennio tra il 1661 e il 1666 il Parlamento tentò quindi di riprendere i lavori nella zona portuale richiamando a Sanremo l'impresario Ilario Gnecco, che era allora impegnato in altri lavori sul litorale tirrenico. Le trattative tra l'impresario e il Comune si protrassero però a lungo sia perché molti consiglieri non lo ritenevano in grado di realizzare un'opera sufficientemente solida, sia perché lo stesso Gnecco temeva che una ripresa dei lavori nel porto sanremese si risolvesse in un nuovo insuccesso. Soltanto verso la fine del 1666 i negoziati parvero giungere ad un prima conclusione grazie alla mediazione del patrono sanremese Angelo Pesante, che curava gli interessi di Gnecco nella città matuziana. Il 22 dicembre di quell'anno infatti Gnecco scrisse una lettera al Consiglio per informarlo che era disposto a fornire un nuovo progetto del molo e a ritornare entro breve tempo a Sanremo. L'accordo non venne però rispettato dall'impresario e il 29 aprile 1667 il Parlamento gli intimò di iniziare i lavori previsti entro un mese. Per tutta risposta, Gnecco non si spostò da Livorno e così trascorse tutto il 1667 senza che si concludesse nulla. Con l'inizio del 1668 ripresero le trattative, anche con altri impresari, che non portarono tuttavia ad alcun risultato positivo.

     Il 13 luglio 1668 il Parlamento nominò allora una speciale commissione per stipulare un contratto per il miglioramento del molo con Gnecco, stanziando all'uopo la somma di 17.000 lire, aumentata a 18.500 quattro giorni dopo a patto che l'impresario si impegnasse a finire i lavori entro la fine dell'anno. Il 31 agosto vennero finalmente fissati i termini tecnici del contratto con Gnecco, che avrebbe costruito un scogliera larga 50 palmi dalla punta del molo vecchio a quella del nuovo. Con una serie di delibere emanate nel corso del mese di settembre furono invece stabilite le modalità di pagamento del costruttore, che avrebbe percepito la somma di 5.000 lire suddivisa in base allo stato di avanzamento dell'opera. I lavori di riparazione del molo iniziarono quindi nell'autunno del 1668, ma non sembra che procedessero con particolare celerità, anche perché i commerci dei prodotti del comprensorio sanremese subirono un netto calo a causa delle gelate del 1668, 1670 e 1672. Soltanto verso la fine del 1672 il Parlamento decise di stanziare nuove somme per la fabbrica del molo, ma fu tuttavia necessario aspettare fino al 1674 per assistere ad una apprezzabile ripresa delle attività commerciali. Nel 1677 il Parlamento tentò nuovamente di riprendere i lavori della zona portuale finanziandone le spese tramite la pubblica vendita della gabella dell'ancoraggio, acquistata da un facoltoso commerciante sanremese. Nei primi mesi del 1680 tuttavia il porto di Sanremo era ormai ridotto in uno stato alquanto precario, soprattutto a causa dei pesanti bombardamenti avvenuti nell'agosto 1678 ad opera del contingente di navi francesi; il fatto inoltre che il basso fondale permetteva l'ormeggio al molo soltanto ai piccoli vascelli aveva praticamente paralizzato i traffici commerciali, in quanto poche navi si arrischiavano ad entrare nel porto per scaricarvi le merci. Ripresero quindi difficili trattative con le autorità genovesi per ottenere l'autorizzazione al prolungamento e alla riparazione del molo, condizione essenziale per la ripresa dei commerci, che costituivano la principale e irrinunciabile risorsa economica della comunità sanremese. All'inizio del 1681 il governo di Genova prese in esame le richieste del Parlamento sanremese, che desiderava prolungare il molo di altri 120 palmi per scongiurare un ulteriore interramento del porto. L'autorizzazione iniziale, rilasciata dal Senato genovese prima di trasferire la pratica al Magistrato di Guerra, modificò però il progetto primitivo consentendo un allungamento del molo di soli 50 palmi. Dopo aver esaminato la pratica, il Magistrato di Guerra riferì quindi al Senato il 9 gennaio 1682 che un prolungamento del molo per altri 100 palmi avrebbe giovato anche alla Repubblica per riparare le proprie galee in caso di tempesta. A causa della rivalità con la cittadina del Ponente ligure e per paura di un pericoloso incremento dei suoi traffici marittimi, il Senato della Repubblica, con atto dell'11 gennaio 1682, decise però di non ratificare la vantaggiosa proposta del Magistrato di Guerra, obbligando quindi la comunità sanremese a rinunciare per il momento a costruire un approdo più ampio. 

     Dopo un periodo di stasi, il Parlamento di Sanremo riprese l'iniziativa incaricando nel gennaio 1690 il sanremese Giacomo Borea di trattare con un impresario genovese la realizzazione di un vasto progetto per l'ingrandimento dell'area portuale. Le trattative tuttavia non ebbero seguito e così, al principio di marzo del '90 venne contattato il costruttore sanremese Gio Francesco Martino, con il quale il 24 luglio fu stipulato il contratto di appalto. L'impresario si impegnava a costruire un molo lungo 170 palmi, iniziando dall'estremità di quello che restava delle opere precedenti, con la clausola però che gli ultimi 70 palmi sarebbero stati vincolati all'approvazione del Senato genovese. Da parte sua, il Comune garantì una copertura finanziaria di 25.000 lire per la realizzazione del progetto. All'inizio del 1693 tuttavia i lavori erano ancora ben lungi dall'essere conclusi e allora il Parlamento avviò una pratica legale contro Martino per stabilire le cause e la natura dei danni causati dalla mancata esecuzione del contratto. Mentre i lavori erano fermi, nel novembre 1694 una violentissima tempesta si abbattè sulla costa, distruggendo gran parte del molo e trascinando nella rada, fino all'Arenella, enormi quantità di alghe e sabbia, oltre a molte pietre e numerosi massi divelti dal molo. Soltanto all'inizio del 1697 il Parlamento deliberò di stanziare nuovi fondi per le riparazioni all'area portuale, che versava in tali condizioni che perfino il governo genovese dovette riconoscere che erano ormai urgenti e indispensabili dei nuovi lavori. Una commissione di sanremesi stipulò quindi in tempi molto brevi un contratto di appalto con l'impresario Nicolò Firpo di Vado Ligure, che il 9 ottobre 1697 iniziò la realizzazione del suo progetto di ricostruzione e ristrutturazione del porto. Anche questa volta però la scelta non si rivelò particolarmente felice per l'inadempienza del costruttore, che nel mese di luglio del '98 venne esonerato dall'incarico con contestuale richiesta dei danni e confisca dei beni. 

     Verso la fine dell'estate del 1699 ripresero le trattative per completare i lavori nella zona portuale nella speranza di poter fornire la città di un porto adeguato: fu allora contattato un nuovo costruttore, il genovese Gio Battista Gerino, che si recò a Sanremo, valutò l'entità dei lavori da effettuare, pervenne ad un accordo con il Parlamento e infine acquistò il materiale venduto a un'asta pubblica dal precedente impresario Nicolò Firpo. Il contratto d'appalto tra Gerino e il Comune di Sanremo, stipulato il 10 settembre 1699, prevedeva, oltre al prolungamento del molo di 170 palmi, una serie di innovazioni tecniche che avrebbero garantito maggiore solidità al porto; il costo dell'intera opera era infine valutato nella somma di 32.000 lire. Sorte però delle complicazioni relative alla mancata accettazione da parte dell'amministrazione sanremese dei quattro fideiussori proposti da Gerino, condizione vincolante per la ratifica dell'accordo, si arrivò così al marzo 1701 senza che si giungesse ancora ad una stipulazione del contratto, fino a quando il Consiglio Comunale redasse un nuovo accordo, in cui erano meglio precisati i compiti spettanti a Gerino. In base a questo contratto, il prolungamento del molo sarebbe stato realizzato riparando per i primi 70 palmi la vecchia opera costruita da Martino e poi rovinata dalle mareggiate, mentre i successivi 100 palmi sarebbero stati raggiunti tramite la posa di casse fino al compimento dei 170 palmi previsti; era inoltre prevista una maggiore cura per la pavimentazione e il parapetto della banchina, mentre sarebbero anche state modificate le dimensioni della scogliera a protezione del molo. La comunità impose infine al costruttore di iniziare i lavori il 1° aprile 1701 e di portarli a termine entro due anni. In un primo tempo però Gerino si rifiutò di accettare le condizioni poste dal Parlamento sanremese e ritornò a Genova, ma poi decise di sottoscrivere il contratto, che venne stipulato il 3 giugno 1701. Ebbero così finalmente inizio i lavori per la costruzione delle nuove infrastrutture portuali, che furono peraltro gli unici eseguiti nei primi settant'anni del XVIII secolo e che, a quanto risulta dalle rilevazioni effettute dal colonnello Matteo Vinzoni nel 1753, vennero portati a termine seguendo nelle sue linee generali quanto prescritto dal contratto stipulato nel 1701.


Redazione

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